Costituzione Apostolica «Veritatis gaudium» circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche

La gioia della verità (Veritatis gaudium) esprime il desiderio struggente che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non condivide con tutti la Luce di Dio[1]. La verità, infatti, non è un’idea astratta, ma è Gesù, il Verbo di Dio in cui è la Vita che è la Luce degli uomini (cfr. Gv 1,4), il Figlio di Dio che è insieme il Figlio dell’uomo. Egli soltanto, «rivelando il mistero del Padre e del suo amore, rivela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»[2].

Nell’incontro con Lui, il Vivente (cfr Ap 1,18) e il Primogenito tra molti fratelli (cfr Rm 8,29), il cuore dell’uomo sperimenta già sin d’ora, nel chiaroscuro della storia, la luce e la festa senza più tramonto dell’unione con Dio e dell’unità coi fratelli e le sorelle nella casa comune del creato di cui godrà senza fine nella piena comunione con Dio. Nella preghiera di Gesù al Padre: «perché tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,21) è racchiuso il segreto della gioia che Gesù ci vuole comunicare in pienezza (cfr 15,11) da parte del Padre col dono dello Spirito Santo: Spirito di verità e di amore, di libertà, di giustizia e di unità.

È questa la gioia che la Chiesa è spinta da Gesù a testimoniare e ad annunciare nella sua missione, senza sosta e con sempre nuova passione. Il Popolo di Dio è pellegrino lungo i sentieri della storia in sincera e solidale compagnia con gli uomini e le donne di tutti i popoli e di tutte le culture, per illuminare con la luce del Vangelo il cammino dell’umanità verso la civiltà nuova dell’amore. Strettamente collegato alla missione evangelizzatrice della Chiesa, scaturente anzi dalla sua stessa identità tutta spesa a promuovere l’autentica e integrale crescita della famiglia umana sino alla sua definitiva pienezza in Dio, è il vasto e pluriforme sistema degli studi ecclesiastici fiorito lungo i secoli dalla sapienza del Popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo e nel dialogo e discernimento dei segni dei tempi e delle diverse espressioni culturali.

Non sorprende, dunque, che il Concilio Vaticano II, promuovendo con vigore e profezia il rinnovamento della vita della Chiesa, per una più incisiva missione in questa nuova epoca della storia, abbia raccomandato nel Decreto Optatam totius una fedele e creativa revisione degli studi ecclesiastici (cfr nn. 13-22). Tale compito, dopo attento studio e sapiente sperimentazione, ha trovato espressione nella Costituzione Apostolica Sapientia christiana, promulgata da San Giovanni Paolo II il 15 aprile 1979. Grazie ad essa è stato ulteriormente promosso e perfezionato l’impegno della Chiesa a favore delle «Facoltà e le Università ecclesiastiche che si occupano particolarmente della Rivelazione cristiana e di quelle discipline che ad essa sono connesse, e che, perciò, più strettamente si ricollegano alla sua stessa missione evangelizzatrice», insieme a tutte quelle altre discipline che «pur non avendo una particolare connessione con la Rivelazione cristiana, possono tuttavia giovare molto all’opera dell’evangelizzazione»[3].

A distanza di quasi quarant’anni, in fedeltà allo spirito e agli orientamenti del Vaticano II e come sua opportuna attualizzazione, si rende oggi necessario e urgente un aggiornamento di quella Costituzione apostolica. Essa, in effetti, restando pienamente valida nella sua profetica visione e nel suo lucido dettato, chiede di essere integrata con le disposizioni normative nel frattempo emanate, tenendo conto al tempo stesso dello sviluppo nell’ambito degli studi accademici registrato in questi ultimi decenni come pure del mutato contesto socio-culturale a livello planetario, nonché di quanto raccomandato a livello internazionale in attuazione delle varie iniziative, cui la Santa Sede ha aderito.

L’occasione è propizia per procedere con ponderata e profetica determinazione alla promozione, a tutti i livelli, di un rilancio degli studi ecclesiastici nel contesto della nuova tappa della missione della Chiesa, marcata dalla testimonianza della gioia che scaturisce dall’incontro con Gesù e dall’annuncio del suo Vangelo, che ho programmaticamente proposto a tutto il Popolo di Dio nella Evangelii gaudium.

2. La Costituzione Apostolica Sapientia christiana ha rappresentato a tutti gli effetti il frutto maturo della grande opera di riforma degli studi ecclesiastici messa in movimento dal Concilio Vaticano II. Essa raccoglie, in particolare, i risultati raggiunti in questo cruciale ambito della missione della Chiesa sotto la guida saggia e prudente del Beato Paolo VI e insieme preannuncia l’apporto che, in continuità con essi, verrà in seguito offerto dal magistero di San Giovanni Paolo II.

Come ho avuto occasione di sottolineare, «uno dei contributi principali del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare credente»[4]. È proprio in questa luce che l’Optatam totius invita con vigore gli studi ecclesiastici a «convergere concordemente alla progressiva apertura dello spirito degli alunni verso il mistero di Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano e agisce continuamente nella vita della Chiesa»[5]. Per raggiungere questo scopo, il Decreto conciliare esorta a coniugare la meditazione e lo studio della Sacra Scrittura, quale «anima di tutta la teologia»[6] insieme all’assidua e consapevole partecipazione alla sacra Liturgia, quale «prima e necessaria sorgente di vero spirito cristiano»[7], con lo studio sistematico della Tradizione viva della Chiesa in dialogo con gli uomini del proprio tempo, in ascolto profondo dei loro problemi, delle loro ferite e delle loro istanze[8]. In tal modo – sottolinea l’Optatam totius – «la preoccupazione pastorale deve permeare l’intera formazione degli alunni»[9], così da abituarli a «guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque l’Evangelo»[10].

Tappe miliari nel cammino che da questi orientamenti del Vaticano II conduce sino alla Sapientia christiana sono in particolare l’Evangelii nuntiandi e la Populorum progressio di Paolo VI e, solo un mese prima della promulgazione della Costituzione Apostolica, la Redemptor hominis di Giovanni Paolo II. L’afflato profetico dell’Esortazione apostolica sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo di Papa Montini risuona vigorosa nel Proemio della Sapientia christiana là dove si afferma che «la missione dell’evangelizzazione, che è propria della Chiesa, esige non soltanto che il Vangelo sia predicato in fasce geografiche sempre più vaste ed a moltitudini umane sempre più grandi, ma che siano anche permeati della virtù dello stesso Vangelo i modi di pensare, i criteri di giudizio, le norme d’azione; in una parola, è necessario che tutta la cultura dell’uomo sia penetrata dal Vangelo»[11]. Giovanni Paolo II, dal canto suo, soprattutto nell’Enciclica Fides et ratio, ha ribadito e approfondito, nell’ambito del dialogo tra filosofia e teologia, la convinzione che innerva l’insegnamento del Vaticano II secondo la quale «l’uomo è capace di giungere a una visione unitaria e organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio cristiano»[12].

Anche la Populorum progressio ha giocato un ruolo decisivo nella riconfigurazione, alla luce del Vaticano II, degli studi ecclesiastici, offrendo insieme alla Evangelii nuntiandi, come attestato dal cammino delle diverse Chiese locali, significativi impulsi e concreti orientamenti per l’inculturazione del Vangelo e per l’evangelizzazione delle culture nelle diverse regioni del mondo, in risposta alle sfide del presente. Questa enciclica sociale di Paolo VI, infatti, sottolinea incisivamente che lo sviluppo dei popoli, chiave imprescindibile per realizzare la giustizia e la pace a livello mondiale, «dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo»[13], e richiama la necessità «di uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso»[14]. La Populorum progressio interpreta dunque con profetica visione la questione sociale come questione antropologica che investe il destino dell’intera famiglia umana.

È questa la discriminante chiave di lettura che ispirerà il successivo magistero sociale della Chiesa, dalla Laborem exercens alla Sollecitudo rei socialis alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, alla Laudato sì. Riprendendo l’invito allo slancio verso una nuova stagione di pensiero fatto dalla Populorum progressio, Papa Benedetto XVI ha illustrato la necessità impellente di «vivere e orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione»[15], sottolineando che Dio vuole associare l’umanità a quell’ineffabile mistero di comunione che è la SS.ma Trinità, di cui la Chiesa è in Cristo Gesù segno e strumento[16]. Per raggiungere realisticamente questo scopo, egli invita a «dilatare la ragione» per renderla capace di conoscere e orientare le imponenti nuove dinamiche che travagliano la famiglia umana, «animandole nella prospettiva di quella civiltà dell’amore il cui seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura»[17] e facendo «interagire i diversi livelli del sapere umano»: quello teologico e quello filosofico, quello sociale e quello scientifico[18].

3. È giunto ora il momento in cui questo ricco patrimonio di approfondimenti e di indirizzi, verificato e arricchito per così dire “sul campo” dal perseverante impegno di mediazione culturale e sociale del Vangelo messo in atto dal Popolo di Dio nei diversi ambiti continentali e in dialogo con le diverse culture, confluisca nell’imprimere agli studi ecclesiastici quel rinnovamento sapiente e coraggioso che è richiesto dalla trasformazione missionaria di una Chiesa “in uscita”.

L’esigenza prioritaria oggi all’ordine del giorno, infatti, è che tutto il Popolo di Dio si prepari ad intraprendere “con spirito”[19] una nuova tappa dell’evangelizzazione. Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma»[20]. E in tale processo è chiamato a giocare un ruolo strategico un adeguato rinnovamento del sistema degli studi ecclesiastici. Essi, infatti, non sono solo chiamati a offrire luoghi e percorsi di formazione qualificata dei presbiteri, delle persone di vita consacrata e dei laici impegnati, ma costituiscono una sorta di provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza di cui lo Spirito Santo arricchisce in varie forme tutto il Popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi.

E ciò è d’imprescindibile valore per una Chiesa “in uscita”! Tanto più che oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento d’epoca[21], segnalato da una complessiva «crisi antropologica»[22] e «socio-ambientale»[23] nella quale riscontriamo ogni giorno di più «sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie»[24]. Si tratta, in definitiva, di «cambiare il modello di sviluppo globale» e di «ridefinire il progresso»[25]: «il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade»[26].

Questo ingente e non rinviabile compito chiede, sul livello culturale della formazione accademica e dell’indagine scientifica, l’impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – mi permetto di dire – verso «una coraggiosa rivoluzione culturale»[27]. In tale impegno la rete mondiale delle Università e Facoltà ecclesiastiche è chiamata a portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte.

Si fa oggi sempre più evidente che «c’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede. La filosofia e la teologia permettono di acquisire le convinzioni che strutturano e fortificano l’intelligenza e illuminano la volontà… ma tutto questo è fecondo solo se lo si fa con la mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di Lérins descrive così: “annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate” (Commonitorium primum, 23: PL 50,668)»[28].

4. In questo orizzonte vasto e inedito che si apre dinanzi a noi, quali devono essere i criteri di fondo per un rinnovamento e un rilancio del contributo degli studi ecclesiastici a una Chiesa in uscita missionaria? Ne possiamo enunciare qui almeno quattro, nel solco dell’insegnamento del Vaticano II e dell’esperienza della Chiesa maturata in questi decenni alla sua scuola, in ascolto dello Spirito Santo e delle esigenze più profonde e degli interrogativi più acuti della famiglia umana.

a) Innanzi tutto, criterio prioritario e permanente è quello della contemplazione e della introduzione spirituale, intellettuale ed esistenziale nel cuore del kerygma, e cioè della sempre nuova e affascinante lieta notizia del Vangelo di Gesù[29] «che va facendosi carne sempre più e sempre meglio»[30] nella vita della Chiesa e dell’umanità. È questo il mistero della salvezza di cui la Chiesa è in Cristo segno e strumento in mezzo agli uomini[31]: «un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale […] e che trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio»[32].

Da questa concentrazione vitale e gioiosa sul volto di Dio rivelato in Gesù Cristo come Padre ricco di misericordia (cfr Ef 2,4)[33] discende l’esperienza liberante e responsabile di vivere come Chiesa la «mistica del noi»[34] che si fa lievito di quella fraternità universale «che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»[35]. Di qui l’imperativo ad ascoltare nel cuore e a far risuonare nella mente il grido dei poveri e della terra[36], per dare concretezza alla «dimensione sociale dell’evangelizzazione»[37] quale parte integrale della missione della Chiesa: perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini»[38]. E’ vero, infatti, che «la bellezza del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via»[39]. Questa opzione deve permeare la presentazione e l’approfondimento della verità cristiana.

Di qui, ancora, l’accento peculiare, nella formazione a una cultura cristianamente ispirata, a scoprire in tutta la creazione l’impronta trinitaria che fa del cosmo in cui viviamo «una trama di relazioni» in cui «è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa», propiziando «una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità»[40].

b) Un secondo criterio ispiratore, intimamente coerente con il precedente e da esso conseguente, è quello del dialogo a tutto campo: non come mero atteggiamento tattico, ma come esigenza intrinseca per fare esperienza comunitaria della gioia della Verità e per approfondirne il significato e le implicazioni pratiche. Ciò che il Vangelo e la dottrina della Chiesa sono chiamati oggi a promuovere, in generosa e aperta sinergia con tutte le istanze positive che fermentano la crescita della coscienza umana universale, è un’autentica cultura dell’incontro[41], una cultura anzi, possiamo ben dire, dell’incontro tra tutte le autentiche e vitali culture, grazie al reciproco scambio dei propri rispettivi doni nello spazio di luce dischiuso dall’amore di Dio per tutte le sue creature.

Come ha sottolineato Papa Benedetto XVI, «la verità è “logos” che crea “dia-logos” e quindi comunicazione e comunione»[42]. In questa luce, la Sapientia christiana, richiamandosi alla Gaudium et spes, invita a favorire il dialogo con i cristiani appartenenti alle altre Chiese e comunità ecclesiali e con coloro che aderiscono ad altre convinzioni religiose o umanistiche, e insieme a tenersi «in relazione con gli studiosi delle altre discipline, siano essi credenti o non credenti», cercando «di ben intendere e valutare le loro affermazioni, e di giudicarle alla luce della verità rivelata»[43].

Da ciò deriva la felice e urgente opportunità di rivedere in quest’ottica e in questo spirito l’architettonica e la dinamica metodica dei curricula di studi proposti dal sistema degli studi ecclesiastici, nella loro scaturigine teologica, nei loro principi ispiratori e nei loro diversi livelli di articolazione disciplinare, pedagogica e didattica. Tale opportunità si esplicita in un impegno esigente ma altamente produttivo: ripensare e aggiornare intenzionalità e organicità delle discipline e degli insegnamenti impartiti negli studi ecclesiastici in questa specifica logica e secondo questa specifica intenzionalità. Oggi infatti «si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi»[44].

c) Di qui il terzo fondamentale criterio che voglio richiamare: l’inter- e la trans-disciplinarietà esercitate con sapienza e creatività nella luce della Rivelazione. Ciò che qualifica la proposta accademica, formativa e di ricerca del sistema degli studi ecclesiastici, sul livello sia del contenuto sia del metodo, è il principio vitale e intellettuale dell’unità del sapere nella distinzione e nel rispetto delle sue molteplici, correlate e convergenti espressioni.

Si tratta di offrire, attraverso i diversi percorsi proposti dagli studi ecclesiastici, una pluralità di saperi, corrispondente alla ricchezza multiforme del reale nella luce dischiusa dall’evento della Rivelazione, che sia al tempo stesso armonicamente e dinamicamente raccolta nell’unità della sua sorgente trascendente e della sua intenzionalità storica e metastorica, quale è dispiegata escatologicamente in Cristo Gesù: «In Lui – scrive l’apostolo Paolo –, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3). Questo principio teologico e antropologico, esistenziale ed epistemico riveste un peculiare significato ed è chiamato a esibire tutta la sua efficacia non solo all’interno del sistema degli studi ecclesiastici: garantendogli coesione insieme a flessibilità, organicità insieme a dinamicità; ma anche in rapporto al frammentato e non di rado disintegrato panorama odierno degli studi universitari e al pluralismo incerto, conflittuale o relativistico, delle convinzioni e delle opzioni culturali.

Oggi – come ha ribadito Benedetto XVI nella Caritas in veritate, approfondendo il messaggio culturale della Popolorum progressio di Paolo VI – «c’è mancanza di sapienza, di riflessione, di pensiero in grado di operare una sintesi orientativa»[45]. Qui si gioca, in specifico, la mission che è confidata al sistema degli studi ecclesiastici. Questa precisa e orientatrice direttiva di marcia non solo esplicita l’intrinseco significato veritativo del sistema degli studi ecclesiastici, ma ne evidenzia anche, soprattutto oggi, l’effettiva rilevanza culturale e umanizzante. In tal senso, è senz’altro positiva e promettente l’odierna riscoperta del principio dell’interdisciplinarietà[46]: non tanto nella sua forma “debole” di semplice multidisciplinarità, come approccio che favorisce una migliore comprensione da più punti di vista di un oggetto di studio; quanto piuttosto nella sua forma “forte” di transdisciplinarità, come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio.

Così che chi è formato nel quadro delle istituzioni promosse dal sistema degli studi ecclesiastici – come auspicava il Beato J.H. Newman – sappia «dove collocare se stesso e la propria scienza, a cui giunge, per così dire, da una sommità, dopo aver avuto una visione globale di tutto il sapere»[47]. Anche il Beato Antonio Rosmini, sin dall’800, invitava a una decisa riforma nel campo dell’educazione cristiana, ristabilendo i quattro pilastri su cui essa saldamente poggiava nei primi secoli dell’era cristiana: «l’unicità di scienza, la comunicazione di santità, la consuetudine di vita, la scambievolezza di amore». L’essenziale – egli argomentava – è ridare unità di contenuto, di prospettiva, di obiettivo, alla scienza che viene impartita a partire dalla Parola di Dio e dal suo culmine in Cristo Gesù, Verbo di Dio fatto carne. Se non vi è questo centro vivo, la scienza non ha «né radice né unità» e resta semplicemente «attaccata e per così dir pendente alla giovanile memoria». Solo così diventa possibile superare la «nefasta separazione tra teoria e pratica», perché nell’unità tra scienza e santità «consiste propriamente la genuina indole della dottrina destinata a salvare il mondo», il cui «ammaestramento [nei tempi antichi] non finiva in una breve lezione giornaliera, ma consisteva in una continua conversazione che avevano i discepoli co’ maestri»[48].

d) Un quarto e ultimo criterio concerne la necessità urgente di “fare rete” tra le diverse istituzioni che, in ogni parte del mondo, coltivano e promuovono gli studi ecclesiastici, attivando con decisione le opportune sinergie anche con le istituzioni accademiche dei diversi Paesi e con quelle che si ispirano alle diverse tradizioni culturali e religiose, dando vita al contempo a centri specializzati di ricerca finalizzati a studiare i problemi di portata epocale che investono oggi l’umanità, giungendo a proporre opportune e realistiche piste di risoluzione.

Come ho sottolineato nella Laudato sì, «dalla metà del secolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune»[49]. La presa di coscienza di questa interdipendenza «ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune»[50]. La Chiesa, in particolare, in sintonia convinta e profetica con l’impulso a una sua rinnovata presenza e missione nella storia promosso dal Vaticano II, è chiamata a sperimentare che la cattolicità che la qualifica come fermento di unità nella diversità e di comunione nella libertà, esige per sé e propizia «la polarità tensionale tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. Annichilire questa tensione va contro la vita dello Spirito»[51]. Si tratta pertanto di praticare a una forma di conoscenza e d’interpretazione della realtà, nella luce del «pensiero di Cristo» (cfr 1 Cor 2,16), in cui il modello di riferimento e di risoluzione dei problemi «non è la sfera […] dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro», ma «il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità»[52].

In realtà, «come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì, “restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla Tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato”[53]. Nei diversi popoli che sperimentano il dono di Dio secondo la propria cultura, la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità e mostra “la bellezza di questo volto pluriforme”[54]. Nelle espressioni cristiane di un popolo evangelizzato, lo Spirito Santo abbellisce la Chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivelazione e regalandole un nuovo volto»[55].

Questa prospettiva – è evidente – traccia un compito esigente per la teologia così come, nelle loro specifiche competenze, per le altre discipline contemplate negli studi ecclesiastici. Con una bella immagine Benedetto XVI, riferendosi alla Tradizione della Chiesa, ha affermato che essa «non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti»[56]. «Questo fiume irriga diverse terre, alimenta diverse geografie, facendo germogliare il meglio di quella terra, il meglio di quella cultura. In questo modo, il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo, in maniera sempre nuova»[57]. La teologia, non vi è dubbio, dev’essere radicata e fondata nella Sacra Scrittura e nella Tradizione vivente, ma proprio per questo deve accompagnare simultaneamente i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili. Anzi, «in questo tempo la teologia deve farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo dentro la Chiesa, ma anche quelli che riguardano il mondo intero»[58]. Si tratta di «accettare, di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo», acquisendo «uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione si di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto»[59].

5. Nel rilanciare gli studi ecclesiastici si avverte la viva esigenza di imprimere un nuovo impulso alla ricerca scientifica condotta nelle nostre Università e Facoltà ecclesiastiche. La Costituzione Apostolica Sapientia christiana introduceva la ricerca come un «dovere fondamentale» in costante «contatto con la realtà stessa […] per comunicare la dottrina agli uomini del proprio tempo nella varietà delle culture»[60]. Ma nella nostra epoca, segnata dalla condizione multiculturale e multietnica, nuove dinamiche sociali e culturali impongono un allargamento di questi scopi. Difatti per adempiere alla missione salvifica della Chiesa «non è sufficiente la preoccupazione dell’evangelizzatore di giungere ad ogni persona […] il Vangelo si annuncia anche alle culture nel loro insieme»[61]. Gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di crescere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso. Ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la capacità di concepire, disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della religione cristiana capace di entrare in profondità in sistemi culturali diversi. Tutto questo invoca un innalzamento della qualità della ricerca scientifica e un avanzamento progressivo del livello degli studi teologici e delle scienze collegate. Non si tratta solo di estendere il campo della diagnosi, di arricchire il complesso dei dati a disposizioni per leggere la realtà[62], ma di approfondire per «comunicare meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile»[63].

Affido in primo luogo alla ricerca condotta nelle Università, Facoltà e Istituti ecclesiastici il compito di sviluppare quella «apologetica originale» che ho indicato nella Evangelii gaudium, affinché esse aiutino «a creare le disposizioni perché il Vangelo sia ascoltato da tutti»[64].

In questo contesto, indispensabile diventa la creazione di nuovi e qualificati centri di ricerca in cui possano interagire con libertà responsabile e trasparenza reciproca – come ho auspicato nella Laudato si’ – studiosi provenienti dai diversi universi religiosi e dalle differenti competenze scientifiche, in modo da «entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità»[65]. In tutti i Paesi, le Università costituiscono la sede primaria della ricerca scientifica per il progresso delle conoscenze e della società, svolgendo un ruolo determinante per lo sviluppo economico, sociale e culturale, soprattutto in un tempo come il nostro segnato da veloci, costanti e vistosi cambiamenti nel campo delle scienze e delle tecnologie. Anche negli accordi internazionali viene rimarcata la responsabilità centrale dell’Università nelle politiche della ricerca e la necessità di coordinarle creando reti di centri specializzati così da facilitare, tra l’altro, la mobilità dei ricercatori.

In questo senso, si stanno progettando poli di eccellenza interdisciplinari e iniziative finalizzate ad accompagnare l’evoluzione delle tecnologie avanzate, la qualificazione delle risorse umane e i programmi di integrazione. Anche gli studi ecclesiastici, nello spirito di una Chiesa “in uscita”, sono chiamati a dotarsi di centri specializzati che approfondiscano il dialogo con i diversi ambiti scientifici. In particolare, la ricerca condivisa e convergente tra specialisti di diverse discipline viene a costituire un qualificato servizio al Popolo di Dio, e in particolare al Magistero, nonché un sostegno della missione della Chiesa di annunciare la buona novella di Cristo a tutti, dialogando con le diverse scienze a servizio di una sempre più profonda penetrazione e applicazione della verità nella vita personale e sociale.

Gli studi ecclesiastici saranno così in grado di apportare il loro specifico e insostituibile contributo ispiratore e orientatore, e potranno enucleare ed esprimere in forma nuova, interpellante e realistica il proprio compito. È sempre stato e sempre sarà così! La teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera. «Le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi c’interrogano. Tutto ciò ci aiuta ad approfondire il mistero della Parola di Dio, Parola che esige e chiede che si dialoghi, che si entri in comunione»[66].

6. Quella che oggi emerge di fronte ai nostri occhi è «una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione»[67], anche per le Università e Facoltà ecclesiastiche.

Ci guidi, ci illumini e ci sostenga in questa impegnativa e affascinante stagione segnata dall’impegno a una rinnovata e lungimirante configurazione prospettica degli studi ecclesiastici, la fede gioiosa e incrollabile in Gesù crocifisso e risorto, centro e Signore della storia. La sua risurrezione, col dono sovrabbondante dello Spirito Santo, «produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia»[68].

Maria Santissima, che all’annuncio dell’Angelo ha concepito con gioia ineffabile il Verbo di Verità, accompagni il nostro cammino ottenendo dal Padre di ogni grazia la benedizione di luce e di amore che con la fiducia dei figli attendiamo nella speranza dal Figlio suo e nostro Signore Gesù Cristo, nella gioia dello Spirito Santo!

 

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