Matrimonio e famiglia sono il futuro della Chiesa e della società

Cari Prelati Uditori,

vi saluto cordialmente, ad iniziare dal Decano, che ringrazio per le sue parole. Insieme con voi saluto gli officiali, gli avvocati e tutti i collaboratori del Tribunale Apostolico della Rota Romana. Vi auguro ogni bene per l’Anno giudiziario che oggi inauguriamo.

Oggi vorrei riflettere con voi su un aspetto qualificante del vostro servizio giudiziale, cioè sulla centralità della coscienza, che è nello stesso tempo quella di ciascuno di voi e quella delle persone dei cui casi vi occupate. Infatti, la vostra attività si esprime anche come ministero della pace delle coscienze e richiede di essere esercitata in tutta coscienza, come bene esprime la formula con la quale le vostre Sentenze vengono emanate ad consulendum conscientiae o ut consulatur conscientiae.

In ordine alla dichiarazione di nullità o validità del vincolo matrimoniale, voi vi ponete, in certo senso, come esperti della coscienza dei fedeli cristiani. In questo ruolo, siete chiamati ad invocare incessantemente l’assistenza divina per espletare con umiltà e misura il grave compito affidatovi dalla Chiesa, manifestando così la connessione tra la certezza morale, che il giudice deve raggiungere ex actis et probatis, e l’ambito della sua coscienza, noto unicamente allo Spirito Santo e da Lui assistito. Grazie alla luce dello Spirito vi è dato, infatti, di entrare nell’ambito sacro della coscienza dei fedeli. È significativo che l’antica preghiera dell’Adsumus, che veniva proclamata all’inizio di ogni sessione del Concilio Vaticano II, si reciti con tanta frequenza nel vostro Tribunale.

L’ambito della coscienza è stato molto caro ai Padri degli ultimi due Sinodi dei Vescovi, ed è risuonato in modo significativo nell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitiaCiò è derivato dalla consapevolezza che il Successore di Pietro e i Padri sinodali hanno maturato circa l’impellente necessità di ascolto, da parte dei Pastori della Chiesa, delle istanze e delle attese di quei fedeli i quali hanno reso la propria coscienza muta e assente per lunghi anni e, in seguito, sono stati aiutati da Dio e dalla vita a ritrovare un po’ di luce, rivolgendosi alla Chiesa per avere la pace della loro coscienza.

La coscienza assume un ruolo decisivo nelle scelte impegnative che i fidanzati devono affrontare per accogliere e costruire l’unione coniugale e quindi la famiglia secondo il disegno di Dio. La Chiesa, madre tenerissima, ut consulatur conscientiae dei fedeli bisognosi di verità, ha ravvisato la necessità di invitare quanti operano nella pastorale matrimoniale e famigliare ad una rinnovata consapevolezza nell’aiutare i fidanzati a costruire e custodire l’intimo santuario della loro coscienza cristiana. In proposito, mi piace rimarcare che nei due Documenti in forma di motu proprio, emanati per la riforma del processo matrimoniale, ho esortato a istituire l’indagine pastorale diocesana così da rendere non solo il processo più sollecito, ma anche più giusto, nella dovuta conoscenza di cause e motivi che sono all’origine del fallimento matrimoniale. D’altra parte, nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, sono stati indicati percorsi pastorali per aiutare i fidanzati ad entrare senza paure nel discernimento e nella scelta conseguente del futuro stato di vita coniugale e familiare, descrivendo nei primi cinque capitoli la straordinaria ricchezza del patto coniugale disegnato da Dio nelle Scritture e vissuto dalla Chiesa nel corso della storia.

È quanto mai necessaria una continua esperienza di fede, speranza e carità, perché i giovani tornino a decidere, con coscienza sicura e serena, che l’unione coniugale aperta al dono dei figli è letizia grande per Dio, per la Chiesa, per l’umanità. Il cammino sinodale di riflessione sul matrimonio e la famiglia, e la successiva Esortazione apostolica Amoris laetitia, hanno avuto un percorso e uno scopo obbligati: come salvare i giovani dal frastuono e rumore assordante dell’effimero, che li porta a rinunciare ad assumere impegni stabili e positivi per il bene individuale e collettivo. Un condizionamento che mette a tacere la voce della loro libertà, di quell’intima cella – la coscienza appunto – che Dio solo illumina e apre alla vita, se gli si permette di entrare.

Quanto è preziosa e urgente l’azione pastorale di tutta la Chiesa per il recupero, la salvaguardia, la custodia di una coscienza cristiana, illuminata dai valori evangelici! Sarà un’impresa lunga e non facile, che richiede a vescovi e presbiteri di operare indefessamente per illuminare, difendere e sostenere la coscienza cristiana della nostra gente. La voce sinodale dei Padri Vescovi e la successiva Esortazione apostolica Amoris laetitia hanno così assicurato un punto primordiale: il necessario rapporto tra la regula fidei, cioè la fedeltà della Chiesa al magistero intoccabile sul matrimonio, così come sull’Eucaristia, e l’urgente attenzione della Chiesa stessa ai processi psicologici e religiosi di tutte le persone chiamate alla scelta matrimoniale e familiare. Accogliendo gli auspici dei Padri sinodali, ho già avuto modo di raccomandare l’impegno di un catecumenato matrimoniale, inteso come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana, sostenuta dalla grazia dei due sacramenti, battesimo e matrimonio.

Come ho ribadito altre volte, il catecumenato è per sé unico, in quanto battesimale, cioè radicato nel battesimo, e al tempo stesso nella vita necessita del carattere permanente, essendo permanente la grazia del sacramento matrimoniale, che proprio perché graziaè frutto del mistero, la cui ricchezza non può che essere custodita e assistita nella coscienza dei coniugi come singoli e come coppia. Si tratta in realtà di figure peculiari di quell’incessante cura animarum che è la ragion d’essere della Chiesa, e di noi Pastori in primo luogo.

Tuttavia, la cura delle coscienze non può essere impegno esclusivo dei Pastori, ma, con responsabilità e modalità diverse, è missione di tutti, ministri e fedeli battezzati. Il Beato Paolo VI esortava alla «fedeltà assoluta per salvaguardare la “regula fidei”» (Insegnamenti XV [1977], 663), che illumina la coscienza e non può essere offuscata e scardinata. Per fare ciò – dice ancora Paolo VI – «occorre evitare gli estremismi opposti, sia da parte di chi si appella alla tradizione per giustificare la propria disobbedienza al supremo Magistero e al Concilio ecumenico, sia da parte di quanti si sradicano dall’humus ecclesiale corrompendo la genuina dottrina della Chiesa; entrambi gli atteggiamenti sono segno di indebito e forse inconscio soggettivismo, quando non sia purtroppo di ostinazione, di caparbietà, di squilibrio; posizioni queste che feriscono al cuore la Chiesa, Madre e Maestra» (Insegnamenti XIV[1976], 500).

La fede è luce che illumina non solo il presente ma anche il futuro: matrimonio e famiglia sono il futuro della Chiesa e della società. È necessario pertanto favorire uno stato di catecumenato permanente, affinché la coscienza dei battezzati sia aperta alla luce dello Spirito. L’intenzione sacramentale non è mai frutto di un automatismo, ma sempre di una coscienza illuminata dalla fede, come il risultato di una combinazione tra umano e divino. In questo senso, l’unione sponsale può dirsi vera solo se l’intenzione umana degli sposi è orientata a ciò che vogliono Cristo e la ChiesaPer rendere sempre più consapevoli di ciò i futuri sposi, occorre l’apporto, oltre che dei vescovi e dei sacerdoti, anche di altre persone impegnate nella pastorale, religiosi e fedeli laici corresponsabili nella missione della Chiesa.

Cari giudici della Rota Romana, la stretta connessione tra l’ambito della coscienza e quello dei processi matrimoniali di cui quotidianamente vi occupate, chiede di evitare che l’esercizio della giustizia venga ridotto a un mero espletamento burocratico. Se i tribunali ecclesiastici cadessero in questa tentazione, tradirebbero la coscienza cristiana. Ecco perché, nella procedura del processus brevior, ho stabilito non solo che sia reso più evidente il ruolo di vigilanza del Vescovo diocesano, ma anche che egli stesso, giudice nativo nella Chiesa affidatagli, giudichi in prima istanza i possibili casi di nullità matrimoniale. Dobbiamo impedire che la coscienza dei fedeli in difficoltà per quanto riguarda il loro matrimonio si chiuda ad un cammino di Grazia. Questo scopo si raggiunge con un accompagnamento pastorale, con il discernimento delle coscienze (cfr Esort. ap. Amoris laetitia, 242) e con l’opera dei nostri tribunali. Tale opera deve svolgersi nella sapienza e nella ricerca della verità: solo così la dichiarazione di nullità produce una liberazione delle coscienze.

Rinnovo a ciascuno la mia gratitudine per il bene che fate al popolo di Dio, servendo la giustizia. Invoco la divina assistenza sul vostro lavoro e di cuore vi imparto la Benedizione Apostolica.

 

Papa Francesco : Udienza al Tribunale della Rota Romana in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario – 29 Gennaio 2018

 

Cei. Dal 22 al 24 gennaio si riunisce il Consiglio permanente

I vescovi si confronteranno sul tema principale dell’Assemblea Generale di maggio e su una proposta per l’Assemblea Straordinaria a novembre.

Con la prolusione del cardinale Gualtiero Bassetti si apre lunedì 22 gennaio, alle 17 (diretta su Tv2000 e chiesacattolica.it), la sessione invernale del Consiglio episcopale permanente. I lavori si svolgeranno a Roma fino a mercoledì 24, presso la sede della Cei (Circonvallazione Aurelia, 50).

I vescovi si confronteranno, innanzitutto, sul tema principale dell’Assemblea Generale di maggio e su una proposta per l’Assemblea Straordinaria a novembre. All’ordine del giorno anche una proposta sul contributo delle Chiese alla pace nel Mediterraneo; il confronto sulla posizione delle strutture sanitarie cattoliche in seguito alla legge sulle Dat e sull’idoneità diocesana in vista del concorso per gli insegnanti di Religione Cattolica; una valutazione sugli esiti della Settimana Sociale di Cagliari, dedicata al lavoro, e sulle modalità con cui darvi continuità.

Saranno messi a tema, infine, il percorso per l’approvazione della terza edizione del Messale Romano e l’introduzione nella liturgia della nuova versione del Padre Nostro.

(fonte Avvenire)

Legge sulle DAT incostituzionali? A cura dell’ Avv. Oscar Manca

Il disegno di legge in questione, in primis, tratta del rapporto medico–paziente, descritto singolarmente come l’incontro tra due autonomie. Tale rapporto è, invero, asimmetrico: v’è un soggetto portatore di un bisogno e un medico che può provare a rispondere con scienza e coscienza.

In secondo luogo, de facto, introduce la possibilità che un paziente venga lasciato morire, non certo dignitosamente, di fame e di sete, qualificando come “trattamenti sanitari” la nutrizione e l’idratazione artificiale. Questi, fino ad oggi, erano considerati come “sostentamento vitale di base”, in quanto delle “procedure assistenziali non costituiscono atti medici solo per il fatto che sono messe in atto inizialmente e monitorate periodicamente da operatori sanitari” (Comitato Nazionale Bioetica, anno 2005).

Per quanto attiene ai minori d’età o agli incapaci, il consenso al trattamento sanitario è rifiutato dal genitore o dal tutore, “nel pieno rispetto della sua dignità”. Tale concetto non è strettamente giuridico, è piuttosto labile, si presta ad una pluralità di interpretazioni, come testimonia la storia del XX secolo.

Infine, il d.d.l. tratta delle “DAT”: in previsione di una propria futura incapacità, è possibile esprimere il proprio consenso o il rifiuto ai trattamenti sanitari. Tuttavia, si vorrebbe equiparare un consenso/dissenso attuale, informato, specifico, univoco a quello virtuale, futuro, disinformato proprio poiché espresso dinanzi ad un quadro non ancora compiuto di eventi.

Il medico è descritto quale esecutore di ogni volontà del paziente, eppure la professione è definita da scopi specifici, e si può ben discutere che tra questi ci sia anche il dare o facilitare la morte del paziente.

 

Incontro informativo sulla Legge del Testamento Biologico (DAT)

Incontro informativo sulla Legge del Testamento Biologico (DAT)
rivolto agli operatori della Curia Diocesana di Cagliari

Martedì 9 gennaio presso la sala Benedetto XVI alle ore 11, si è tenuto un primo incontro rivolto agli operatori degli uffici pastorali della curia diocesana, sul tema della Legge recentemente approvata dal Senato sul testamento biologico dal titolo: “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari”. Ha partecipato all’incontro l’Arcivescovo di Cagliari e Presidente della CES, S. E. Mons. Arrigo Miglio, il quale ha rivolto un saluto ai partecipanti e ha lodato l’iniziativa finalizzata a conoscere la Legge nel confronto con quanto la dottrina della Chiesa ha sempre ribadito nella continuità del Magistero ecclesiale. L’incontro ha visto come relatori alcuni esperti nelle scienze giuridiche e mediche ed è stato moderato dal Prof. don Paolo Sanna Docente di Bioetica alla Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. Hanno partecipato come relatori esperti l’avv. Oscar Manca, il Prof. dr. Giuseppe Castello, medico e docente della Pontificia Facoltà Teologica, e il dr. Luigi Cadeddu, medico presso il 118 della ASL. Dopo le tre relazioni con le quali è stata presentata la Legge sotto molteplici angolature, i partecipanti hanno rivolto ai relatori le proprie domande evidenziando alcune perplessità sulla conformità della Legge al dettato costituzionale, sul diritto alla tutela della vita e della salute del pazienze, sull’obiezione di coscienza e sul protocollo di emergenza, temi che appaiono affrontati in modo non esaustivo e quantomeno controverso dalla legge in questione. L’incontro si è concluso con l’auspicio di iniziare una serie di incontri tematici sul fine-vita rivolti ad un uditorio più ampio, coinvolgendo esperti giuristi e medici, per permettere a tutti la giusta informazione nel pieno rispetto della salvaguardia della libertà di pensiero per tutti i cittadini, ma soprattutto nel pieno rispetto del valore intangibile della vita umana e della sua dignità.

Costituzione Apostolica «Veritatis gaudium» circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche

La gioia della verità (Veritatis gaudium) esprime il desiderio struggente che rende inquieto il cuore di ogni uomo fin quando non incontra, non abita e non condivide con tutti la Luce di Dio[1]. La verità, infatti, non è un’idea astratta, ma è Gesù, il Verbo di Dio in cui è la Vita che è la Luce degli uomini (cfr. Gv 1,4), il Figlio di Dio che è insieme il Figlio dell’uomo. Egli soltanto, «rivelando il mistero del Padre e del suo amore, rivela l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»[2].

Nell’incontro con Lui, il Vivente (cfr Ap 1,18) e il Primogenito tra molti fratelli (cfr Rm 8,29), il cuore dell’uomo sperimenta già sin d’ora, nel chiaroscuro della storia, la luce e la festa senza più tramonto dell’unione con Dio e dell’unità coi fratelli e le sorelle nella casa comune del creato di cui godrà senza fine nella piena comunione con Dio. Nella preghiera di Gesù al Padre: «perché tutti siano uno, come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,21) è racchiuso il segreto della gioia che Gesù ci vuole comunicare in pienezza (cfr 15,11) da parte del Padre col dono dello Spirito Santo: Spirito di verità e di amore, di libertà, di giustizia e di unità.

È questa la gioia che la Chiesa è spinta da Gesù a testimoniare e ad annunciare nella sua missione, senza sosta e con sempre nuova passione. Il Popolo di Dio è pellegrino lungo i sentieri della storia in sincera e solidale compagnia con gli uomini e le donne di tutti i popoli e di tutte le culture, per illuminare con la luce del Vangelo il cammino dell’umanità verso la civiltà nuova dell’amore. Strettamente collegato alla missione evangelizzatrice della Chiesa, scaturente anzi dalla sua stessa identità tutta spesa a promuovere l’autentica e integrale crescita della famiglia umana sino alla sua definitiva pienezza in Dio, è il vasto e pluriforme sistema degli studi ecclesiastici fiorito lungo i secoli dalla sapienza del Popolo di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo e nel dialogo e discernimento dei segni dei tempi e delle diverse espressioni culturali.

Non sorprende, dunque, che il Concilio Vaticano II, promuovendo con vigore e profezia il rinnovamento della vita della Chiesa, per una più incisiva missione in questa nuova epoca della storia, abbia raccomandato nel Decreto Optatam totius una fedele e creativa revisione degli studi ecclesiastici (cfr nn. 13-22). Tale compito, dopo attento studio e sapiente sperimentazione, ha trovato espressione nella Costituzione Apostolica Sapientia christiana, promulgata da San Giovanni Paolo II il 15 aprile 1979. Grazie ad essa è stato ulteriormente promosso e perfezionato l’impegno della Chiesa a favore delle «Facoltà e le Università ecclesiastiche che si occupano particolarmente della Rivelazione cristiana e di quelle discipline che ad essa sono connesse, e che, perciò, più strettamente si ricollegano alla sua stessa missione evangelizzatrice», insieme a tutte quelle altre discipline che «pur non avendo una particolare connessione con la Rivelazione cristiana, possono tuttavia giovare molto all’opera dell’evangelizzazione»[3].

A distanza di quasi quarant’anni, in fedeltà allo spirito e agli orientamenti del Vaticano II e come sua opportuna attualizzazione, si rende oggi necessario e urgente un aggiornamento di quella Costituzione apostolica. Essa, in effetti, restando pienamente valida nella sua profetica visione e nel suo lucido dettato, chiede di essere integrata con le disposizioni normative nel frattempo emanate, tenendo conto al tempo stesso dello sviluppo nell’ambito degli studi accademici registrato in questi ultimi decenni come pure del mutato contesto socio-culturale a livello planetario, nonché di quanto raccomandato a livello internazionale in attuazione delle varie iniziative, cui la Santa Sede ha aderito.

L’occasione è propizia per procedere con ponderata e profetica determinazione alla promozione, a tutti i livelli, di un rilancio degli studi ecclesiastici nel contesto della nuova tappa della missione della Chiesa, marcata dalla testimonianza della gioia che scaturisce dall’incontro con Gesù e dall’annuncio del suo Vangelo, che ho programmaticamente proposto a tutto il Popolo di Dio nella Evangelii gaudium.

2. La Costituzione Apostolica Sapientia christiana ha rappresentato a tutti gli effetti il frutto maturo della grande opera di riforma degli studi ecclesiastici messa in movimento dal Concilio Vaticano II. Essa raccoglie, in particolare, i risultati raggiunti in questo cruciale ambito della missione della Chiesa sotto la guida saggia e prudente del Beato Paolo VI e insieme preannuncia l’apporto che, in continuità con essi, verrà in seguito offerto dal magistero di San Giovanni Paolo II.

Come ho avuto occasione di sottolineare, «uno dei contributi principali del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare il divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare credente»[4]. È proprio in questa luce che l’Optatam totius invita con vigore gli studi ecclesiastici a «convergere concordemente alla progressiva apertura dello spirito degli alunni verso il mistero di Cristo, il quale compenetra tutta la storia del genere umano e agisce continuamente nella vita della Chiesa»[5]. Per raggiungere questo scopo, il Decreto conciliare esorta a coniugare la meditazione e lo studio della Sacra Scrittura, quale «anima di tutta la teologia»[6] insieme all’assidua e consapevole partecipazione alla sacra Liturgia, quale «prima e necessaria sorgente di vero spirito cristiano»[7], con lo studio sistematico della Tradizione viva della Chiesa in dialogo con gli uomini del proprio tempo, in ascolto profondo dei loro problemi, delle loro ferite e delle loro istanze[8]. In tal modo – sottolinea l’Optatam totius – «la preoccupazione pastorale deve permeare l’intera formazione degli alunni»[9], così da abituarli a «guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito, e ad andare incontro alle necessità della Chiesa intera, pronti nel loro animo a predicare dovunque l’Evangelo»[10].

Tappe miliari nel cammino che da questi orientamenti del Vaticano II conduce sino alla Sapientia christiana sono in particolare l’Evangelii nuntiandi e la Populorum progressio di Paolo VI e, solo un mese prima della promulgazione della Costituzione Apostolica, la Redemptor hominis di Giovanni Paolo II. L’afflato profetico dell’Esortazione apostolica sull’evangelizzazione nel mondo contemporaneo di Papa Montini risuona vigorosa nel Proemio della Sapientia christiana là dove si afferma che «la missione dell’evangelizzazione, che è propria della Chiesa, esige non soltanto che il Vangelo sia predicato in fasce geografiche sempre più vaste ed a moltitudini umane sempre più grandi, ma che siano anche permeati della virtù dello stesso Vangelo i modi di pensare, i criteri di giudizio, le norme d’azione; in una parola, è necessario che tutta la cultura dell’uomo sia penetrata dal Vangelo»[11]. Giovanni Paolo II, dal canto suo, soprattutto nell’Enciclica Fides et ratio, ha ribadito e approfondito, nell’ambito del dialogo tra filosofia e teologia, la convinzione che innerva l’insegnamento del Vaticano II secondo la quale «l’uomo è capace di giungere a una visione unitaria e organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio cristiano»[12].

Anche la Populorum progressio ha giocato un ruolo decisivo nella riconfigurazione, alla luce del Vaticano II, degli studi ecclesiastici, offrendo insieme alla Evangelii nuntiandi, come attestato dal cammino delle diverse Chiese locali, significativi impulsi e concreti orientamenti per l’inculturazione del Vangelo e per l’evangelizzazione delle culture nelle diverse regioni del mondo, in risposta alle sfide del presente. Questa enciclica sociale di Paolo VI, infatti, sottolinea incisivamente che lo sviluppo dei popoli, chiave imprescindibile per realizzare la giustizia e la pace a livello mondiale, «dev’essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo»[13], e richiama la necessità «di uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare se stesso»[14]. La Populorum progressio interpreta dunque con profetica visione la questione sociale come questione antropologica che investe il destino dell’intera famiglia umana.

È questa la discriminante chiave di lettura che ispirerà il successivo magistero sociale della Chiesa, dalla Laborem exercens alla Sollecitudo rei socialis alla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, alla Laudato sì. Riprendendo l’invito allo slancio verso una nuova stagione di pensiero fatto dalla Populorum progressio, Papa Benedetto XVI ha illustrato la necessità impellente di «vivere e orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione»[15], sottolineando che Dio vuole associare l’umanità a quell’ineffabile mistero di comunione che è la SS.ma Trinità, di cui la Chiesa è in Cristo Gesù segno e strumento[16]. Per raggiungere realisticamente questo scopo, egli invita a «dilatare la ragione» per renderla capace di conoscere e orientare le imponenti nuove dinamiche che travagliano la famiglia umana, «animandole nella prospettiva di quella civiltà dell’amore il cui seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura»[17] e facendo «interagire i diversi livelli del sapere umano»: quello teologico e quello filosofico, quello sociale e quello scientifico[18].

3. È giunto ora il momento in cui questo ricco patrimonio di approfondimenti e di indirizzi, verificato e arricchito per così dire “sul campo” dal perseverante impegno di mediazione culturale e sociale del Vangelo messo in atto dal Popolo di Dio nei diversi ambiti continentali e in dialogo con le diverse culture, confluisca nell’imprimere agli studi ecclesiastici quel rinnovamento sapiente e coraggioso che è richiesto dalla trasformazione missionaria di una Chiesa “in uscita”.

L’esigenza prioritaria oggi all’ordine del giorno, infatti, è che tutto il Popolo di Dio si prepari ad intraprendere “con spirito”[19] una nuova tappa dell’evangelizzazione. Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma»[20]. E in tale processo è chiamato a giocare un ruolo strategico un adeguato rinnovamento del sistema degli studi ecclesiastici. Essi, infatti, non sono solo chiamati a offrire luoghi e percorsi di formazione qualificata dei presbiteri, delle persone di vita consacrata e dei laici impegnati, ma costituiscono una sorta di provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza di cui lo Spirito Santo arricchisce in varie forme tutto il Popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi.

E ciò è d’imprescindibile valore per una Chiesa “in uscita”! Tanto più che oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento d’epoca[21], segnalato da una complessiva «crisi antropologica»[22] e «socio-ambientale»[23] nella quale riscontriamo ogni giorno di più «sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie»[24]. Si tratta, in definitiva, di «cambiare il modello di sviluppo globale» e di «ridefinire il progresso»[25]: «il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade»[26].

Questo ingente e non rinviabile compito chiede, sul livello culturale della formazione accademica e dell’indagine scientifica, l’impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – mi permetto di dire – verso «una coraggiosa rivoluzione culturale»[27]. In tale impegno la rete mondiale delle Università e Facoltà ecclesiastiche è chiamata a portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte.

Si fa oggi sempre più evidente che «c’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede. La filosofia e la teologia permettono di acquisire le convinzioni che strutturano e fortificano l’intelligenza e illuminano la volontà… ma tutto questo è fecondo solo se lo si fa con la mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di Lérins descrive così: “annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate” (Commonitorium primum, 23: PL 50,668)»[28].

4. In questo orizzonte vasto e inedito che si apre dinanzi a noi, quali devono essere i criteri di fondo per un rinnovamento e un rilancio del contributo degli studi ecclesiastici a una Chiesa in uscita missionaria? Ne possiamo enunciare qui almeno quattro, nel solco dell’insegnamento del Vaticano II e dell’esperienza della Chiesa maturata in questi decenni alla sua scuola, in ascolto dello Spirito Santo e delle esigenze più profonde e degli interrogativi più acuti della famiglia umana.

a) Innanzi tutto, criterio prioritario e permanente è quello della contemplazione e della introduzione spirituale, intellettuale ed esistenziale nel cuore del kerygma, e cioè della sempre nuova e affascinante lieta notizia del Vangelo di Gesù[29] «che va facendosi carne sempre più e sempre meglio»[30] nella vita della Chiesa e dell’umanità. È questo il mistero della salvezza di cui la Chiesa è in Cristo segno e strumento in mezzo agli uomini[31]: «un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale […] e che trova il suo ultimo fondamento nella libera e gratuita iniziativa di Dio»[32].

Da questa concentrazione vitale e gioiosa sul volto di Dio rivelato in Gesù Cristo come Padre ricco di misericordia (cfr Ef 2,4)[33] discende l’esperienza liberante e responsabile di vivere come Chiesa la «mistica del noi»[34] che si fa lievito di quella fraternità universale «che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»[35]. Di qui l’imperativo ad ascoltare nel cuore e a far risuonare nella mente il grido dei poveri e della terra[36], per dare concretezza alla «dimensione sociale dell’evangelizzazione»[37] quale parte integrale della missione della Chiesa: perché «Dio, in Cristo, non redime solamente la singola persona, ma anche le relazioni sociali tra gli uomini»[38]. E’ vero, infatti, che «la bellezza del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via»[39]. Questa opzione deve permeare la presentazione e l’approfondimento della verità cristiana.

Di qui, ancora, l’accento peculiare, nella formazione a una cultura cristianamente ispirata, a scoprire in tutta la creazione l’impronta trinitaria che fa del cosmo in cui viviamo «una trama di relazioni» in cui «è proprio di ogni essere vivente tendere verso un’altra cosa», propiziando «una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità»[40].

b) Un secondo criterio ispiratore, intimamente coerente con il precedente e da esso conseguente, è quello del dialogo a tutto campo: non come mero atteggiamento tattico, ma come esigenza intrinseca per fare esperienza comunitaria della gioia della Verità e per approfondirne il significato e le implicazioni pratiche. Ciò che il Vangelo e la dottrina della Chiesa sono chiamati oggi a promuovere, in generosa e aperta sinergia con tutte le istanze positive che fermentano la crescita della coscienza umana universale, è un’autentica cultura dell’incontro[41], una cultura anzi, possiamo ben dire, dell’incontro tra tutte le autentiche e vitali culture, grazie al reciproco scambio dei propri rispettivi doni nello spazio di luce dischiuso dall’amore di Dio per tutte le sue creature.

Come ha sottolineato Papa Benedetto XVI, «la verità è “logos” che crea “dia-logos” e quindi comunicazione e comunione»[42]. In questa luce, la Sapientia christiana, richiamandosi alla Gaudium et spes, invita a favorire il dialogo con i cristiani appartenenti alle altre Chiese e comunità ecclesiali e con coloro che aderiscono ad altre convinzioni religiose o umanistiche, e insieme a tenersi «in relazione con gli studiosi delle altre discipline, siano essi credenti o non credenti», cercando «di ben intendere e valutare le loro affermazioni, e di giudicarle alla luce della verità rivelata»[43].

Da ciò deriva la felice e urgente opportunità di rivedere in quest’ottica e in questo spirito l’architettonica e la dinamica metodica dei curricula di studi proposti dal sistema degli studi ecclesiastici, nella loro scaturigine teologica, nei loro principi ispiratori e nei loro diversi livelli di articolazione disciplinare, pedagogica e didattica. Tale opportunità si esplicita in un impegno esigente ma altamente produttivo: ripensare e aggiornare intenzionalità e organicità delle discipline e degli insegnamenti impartiti negli studi ecclesiastici in questa specifica logica e secondo questa specifica intenzionalità. Oggi infatti «si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi»[44].

c) Di qui il terzo fondamentale criterio che voglio richiamare: l’inter- e la trans-disciplinarietà esercitate con sapienza e creatività nella luce della Rivelazione. Ciò che qualifica la proposta accademica, formativa e di ricerca del sistema degli studi ecclesiastici, sul livello sia del contenuto sia del metodo, è il principio vitale e intellettuale dell’unità del sapere nella distinzione e nel rispetto delle sue molteplici, correlate e convergenti espressioni.

Si tratta di offrire, attraverso i diversi percorsi proposti dagli studi ecclesiastici, una pluralità di saperi, corrispondente alla ricchezza multiforme del reale nella luce dischiusa dall’evento della Rivelazione, che sia al tempo stesso armonicamente e dinamicamente raccolta nell’unità della sua sorgente trascendente e della sua intenzionalità storica e metastorica, quale è dispiegata escatologicamente in Cristo Gesù: «In Lui – scrive l’apostolo Paolo –, sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3). Questo principio teologico e antropologico, esistenziale ed epistemico riveste un peculiare significato ed è chiamato a esibire tutta la sua efficacia non solo all’interno del sistema degli studi ecclesiastici: garantendogli coesione insieme a flessibilità, organicità insieme a dinamicità; ma anche in rapporto al frammentato e non di rado disintegrato panorama odierno degli studi universitari e al pluralismo incerto, conflittuale o relativistico, delle convinzioni e delle opzioni culturali.

Oggi – come ha ribadito Benedetto XVI nella Caritas in veritate, approfondendo il messaggio culturale della Popolorum progressio di Paolo VI – «c’è mancanza di sapienza, di riflessione, di pensiero in grado di operare una sintesi orientativa»[45]. Qui si gioca, in specifico, la mission che è confidata al sistema degli studi ecclesiastici. Questa precisa e orientatrice direttiva di marcia non solo esplicita l’intrinseco significato veritativo del sistema degli studi ecclesiastici, ma ne evidenzia anche, soprattutto oggi, l’effettiva rilevanza culturale e umanizzante. In tal senso, è senz’altro positiva e promettente l’odierna riscoperta del principio dell’interdisciplinarietà[46]: non tanto nella sua forma “debole” di semplice multidisciplinarità, come approccio che favorisce una migliore comprensione da più punti di vista di un oggetto di studio; quanto piuttosto nella sua forma “forte” di transdisciplinarità, come collocazione e fermentazione di tutti i saperi entro lo spazio di Luce e di Vita offerto dalla Sapienza che promana dalla Rivelazione di Dio.

Così che chi è formato nel quadro delle istituzioni promosse dal sistema degli studi ecclesiastici – come auspicava il Beato J.H. Newman – sappia «dove collocare se stesso e la propria scienza, a cui giunge, per così dire, da una sommità, dopo aver avuto una visione globale di tutto il sapere»[47]. Anche il Beato Antonio Rosmini, sin dall’800, invitava a una decisa riforma nel campo dell’educazione cristiana, ristabilendo i quattro pilastri su cui essa saldamente poggiava nei primi secoli dell’era cristiana: «l’unicità di scienza, la comunicazione di santità, la consuetudine di vita, la scambievolezza di amore». L’essenziale – egli argomentava – è ridare unità di contenuto, di prospettiva, di obiettivo, alla scienza che viene impartita a partire dalla Parola di Dio e dal suo culmine in Cristo Gesù, Verbo di Dio fatto carne. Se non vi è questo centro vivo, la scienza non ha «né radice né unità» e resta semplicemente «attaccata e per così dir pendente alla giovanile memoria». Solo così diventa possibile superare la «nefasta separazione tra teoria e pratica», perché nell’unità tra scienza e santità «consiste propriamente la genuina indole della dottrina destinata a salvare il mondo», il cui «ammaestramento [nei tempi antichi] non finiva in una breve lezione giornaliera, ma consisteva in una continua conversazione che avevano i discepoli co’ maestri»[48].

d) Un quarto e ultimo criterio concerne la necessità urgente di “fare rete” tra le diverse istituzioni che, in ogni parte del mondo, coltivano e promuovono gli studi ecclesiastici, attivando con decisione le opportune sinergie anche con le istituzioni accademiche dei diversi Paesi e con quelle che si ispirano alle diverse tradizioni culturali e religiose, dando vita al contempo a centri specializzati di ricerca finalizzati a studiare i problemi di portata epocale che investono oggi l’umanità, giungendo a proporre opportune e realistiche piste di risoluzione.

Come ho sottolineato nella Laudato sì, «dalla metà del secolo scorso, superando molte difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune»[49]. La presa di coscienza di questa interdipendenza «ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune»[50]. La Chiesa, in particolare, in sintonia convinta e profetica con l’impulso a una sua rinnovata presenza e missione nella storia promosso dal Vaticano II, è chiamata a sperimentare che la cattolicità che la qualifica come fermento di unità nella diversità e di comunione nella libertà, esige per sé e propizia «la polarità tensionale tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. Annichilire questa tensione va contro la vita dello Spirito»[51]. Si tratta pertanto di praticare a una forma di conoscenza e d’interpretazione della realtà, nella luce del «pensiero di Cristo» (cfr 1 Cor 2,16), in cui il modello di riferimento e di risoluzione dei problemi «non è la sfera […] dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro», ma «il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità»[52].

In realtà, «come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì, “restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla Tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato”[53]. Nei diversi popoli che sperimentano il dono di Dio secondo la propria cultura, la Chiesa esprime la sua autentica cattolicità e mostra “la bellezza di questo volto pluriforme”[54]. Nelle espressioni cristiane di un popolo evangelizzato, lo Spirito Santo abbellisce la Chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivelazione e regalandole un nuovo volto»[55].

Questa prospettiva – è evidente – traccia un compito esigente per la teologia così come, nelle loro specifiche competenze, per le altre discipline contemplate negli studi ecclesiastici. Con una bella immagine Benedetto XVI, riferendosi alla Tradizione della Chiesa, ha affermato che essa «non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti»[56]. «Questo fiume irriga diverse terre, alimenta diverse geografie, facendo germogliare il meglio di quella terra, il meglio di quella cultura. In questo modo, il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo, in maniera sempre nuova»[57]. La teologia, non vi è dubbio, dev’essere radicata e fondata nella Sacra Scrittura e nella Tradizione vivente, ma proprio per questo deve accompagnare simultaneamente i processi culturali e sociali, in particolare le transizioni difficili. Anzi, «in questo tempo la teologia deve farsi carico anche dei conflitti: non solamente quelli che sperimentiamo dentro la Chiesa, ma anche quelli che riguardano il mondo intero»[58]. Si tratta di «accettare, di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo», acquisendo «uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita. Non significa puntare al sincretismo, né all’assorbimento di uno nell’altro, ma alla risoluzione si di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto»[59].

5. Nel rilanciare gli studi ecclesiastici si avverte la viva esigenza di imprimere un nuovo impulso alla ricerca scientifica condotta nelle nostre Università e Facoltà ecclesiastiche. La Costituzione Apostolica Sapientia christiana introduceva la ricerca come un «dovere fondamentale» in costante «contatto con la realtà stessa […] per comunicare la dottrina agli uomini del proprio tempo nella varietà delle culture»[60]. Ma nella nostra epoca, segnata dalla condizione multiculturale e multietnica, nuove dinamiche sociali e culturali impongono un allargamento di questi scopi. Difatti per adempiere alla missione salvifica della Chiesa «non è sufficiente la preoccupazione dell’evangelizzatore di giungere ad ogni persona […] il Vangelo si annuncia anche alle culture nel loro insieme»[61]. Gli studi ecclesiastici non possono limitarsi a trasferire conoscenze, competenze, esperienze, agli uomini e alle donne del nostro tempo, desiderosi di crescere nella loro consapevolezza cristiana, ma devono acquisire l’urgente compito di elaborare strumenti intellettuali in grado di proporsi come paradigmi d’azione e di pensiero, utili all’annuncio in un mondo contrassegnato dal pluralismo etico-religioso. Ciò richiede non solo una profonda consapevolezza teologica, ma la capacità di concepire, disegnare e realizzare, sistemi di rappresentazione della religione cristiana capace di entrare in profondità in sistemi culturali diversi. Tutto questo invoca un innalzamento della qualità della ricerca scientifica e un avanzamento progressivo del livello degli studi teologici e delle scienze collegate. Non si tratta solo di estendere il campo della diagnosi, di arricchire il complesso dei dati a disposizioni per leggere la realtà[62], ma di approfondire per «comunicare meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile»[63].

Affido in primo luogo alla ricerca condotta nelle Università, Facoltà e Istituti ecclesiastici il compito di sviluppare quella «apologetica originale» che ho indicato nella Evangelii gaudium, affinché esse aiutino «a creare le disposizioni perché il Vangelo sia ascoltato da tutti»[64].

In questo contesto, indispensabile diventa la creazione di nuovi e qualificati centri di ricerca in cui possano interagire con libertà responsabile e trasparenza reciproca – come ho auspicato nella Laudato si’ – studiosi provenienti dai diversi universi religiosi e dalle differenti competenze scientifiche, in modo da «entrare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità»[65]. In tutti i Paesi, le Università costituiscono la sede primaria della ricerca scientifica per il progresso delle conoscenze e della società, svolgendo un ruolo determinante per lo sviluppo economico, sociale e culturale, soprattutto in un tempo come il nostro segnato da veloci, costanti e vistosi cambiamenti nel campo delle scienze e delle tecnologie. Anche negli accordi internazionali viene rimarcata la responsabilità centrale dell’Università nelle politiche della ricerca e la necessità di coordinarle creando reti di centri specializzati così da facilitare, tra l’altro, la mobilità dei ricercatori.

In questo senso, si stanno progettando poli di eccellenza interdisciplinari e iniziative finalizzate ad accompagnare l’evoluzione delle tecnologie avanzate, la qualificazione delle risorse umane e i programmi di integrazione. Anche gli studi ecclesiastici, nello spirito di una Chiesa “in uscita”, sono chiamati a dotarsi di centri specializzati che approfondiscano il dialogo con i diversi ambiti scientifici. In particolare, la ricerca condivisa e convergente tra specialisti di diverse discipline viene a costituire un qualificato servizio al Popolo di Dio, e in particolare al Magistero, nonché un sostegno della missione della Chiesa di annunciare la buona novella di Cristo a tutti, dialogando con le diverse scienze a servizio di una sempre più profonda penetrazione e applicazione della verità nella vita personale e sociale.

Gli studi ecclesiastici saranno così in grado di apportare il loro specifico e insostituibile contributo ispiratore e orientatore, e potranno enucleare ed esprimere in forma nuova, interpellante e realistica il proprio compito. È sempre stato e sempre sarà così! La teologia e la cultura d’ispirazione cristiana sono state all’altezza della loro missione quando hanno saputo vivere rischiosamente e con fedeltà sulla frontiera. «Le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione. Le sue domande ci aiutano a domandarci, i suoi interrogativi c’interrogano. Tutto ciò ci aiuta ad approfondire il mistero della Parola di Dio, Parola che esige e chiede che si dialoghi, che si entri in comunione»[66].

6. Quella che oggi emerge di fronte ai nostri occhi è «una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione»[67], anche per le Università e Facoltà ecclesiastiche.

Ci guidi, ci illumini e ci sostenga in questa impegnativa e affascinante stagione segnata dall’impegno a una rinnovata e lungimirante configurazione prospettica degli studi ecclesiastici, la fede gioiosa e incrollabile in Gesù crocifisso e risorto, centro e Signore della storia. La sua risurrezione, col dono sovrabbondante dello Spirito Santo, «produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia»[68].

Maria Santissima, che all’annuncio dell’Angelo ha concepito con gioia ineffabile il Verbo di Verità, accompagni il nostro cammino ottenendo dal Padre di ogni grazia la benedizione di luce e di amore che con la fiducia dei figli attendiamo nella speranza dal Figlio suo e nostro Signore Gesù Cristo, nella gioia dello Spirito Santo!

 

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Comunicato Stampa Conferenza Episcopale Sarda

Il 5 dicembre c.m. la Conferenza Episcopale Sarda, radunata in seduta ordinaria presso il Centro di Spiritualità “N.S. del Rimedio” in Donigala Fenughedu, sotto la Presidenza di Monsignor Arrigo Miglio, ha affrontato diverse questioni riguardanti la Facoltà Teologica della Sardegna, il Seminario Regionale, l’accorpamento degli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero.
In apertura di riunione, Monsignor Arrigo Miglio, ricordando la recente 28^ Settimana Sociale dei Cattolici Italiani tenutasi a Cagliari nei giorni 26-29 ottobre u.s., sottolinea le numerose testimonianze di vivo apprezzamento per l’organizzazione e per l’accoglienza ricevute da parte dei partecipanti, vescovi, sacerdoti e laici. Di particolare rilievo, ha sottolineato, il percorso di preparazione fatto non solo dalla Diocesi di Cagliari ma da tutta la Regione Ecclesiastica, soprattutto con i sei seminari di studio, i cui risultati sono confluiti nel lavori dell’importante assise. Si tratta di una preziosa eredità per il futuro, sia in termini di contenuti e di prospettive pastorali, sia per la qualità dei delegati provenienti dalle diverse Diocesi sarde. Sono un prezioso gruppo di lavoro che potrà tornare utile per future iniziative volte ad individuare e promuovere anche in Sardegna buone pratiche di lavoro.
Proseguendo la riflessione sulla lingua sarda nella Liturgia, ripresa con decisa e unanime volontà dei Vescovi da oltre un anno, si è fatto il punto sullo stato attuale dei lavori portati avanti da un’Associazione di esperti, d’intesa con la Conferenza Episcopale Sarda. Ad essi era stato affidato il compito di predisporre la traduzione dei testi dell’ordinario della Santa Messa (le parti fisse), e una decina di parti proprie relative alle feste del Signore, della Madonna e dei Santi. Una buona parte di tali testi è stata già predisposta nella variante campidanese e in quella logudorese, alcuni altri devono essere ancora completati. Tali testi verranno esaminati e valutati da una commissione presieduta da Monsignor Ignazio Sanna, vescovo delegato per la Liturgia, e composta da alcuni specialisti nelle materie interessate, Liturgia, Sacra Scrittura, Linguistica sarda. Tale commissione riferirà alla Conferenza, prima che questa approvi e inoltri alla Santa Sede la richiesta di un’approvazione ad experimentum.
La decisa accelerazione data alla questione dalla Conferenza Episcopale risponde a un’esigenza diffusa nella Regione e dall’imput a suo tempo dato dal Concilio Plenario Sardo. Naturalmente l’ultima parola spetterà alla Santa Sede, l’autorità suprema in questa come nelle questioni di maggior peso della Chiesa. La Conferenza si farà interprete della fiduciosa speranza dei fedeli sardi.
Nel corso della seduta la Conferenza ha proceduto anche al conferimento della delega per due importanti settori pastorali al nuovo arcivescovo di Sassari, monsignor Gian Franco Saba: quella della Cultura e delle Comunicazioni sociali, finora ricoperta da Monsignor Paolo Atzei, e quella per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso finora ricoperta da monsignor Roberto Carboni.
Inoltre:
– Don Ignazio SERRA dell’Arcidiocesi di Oristano, è stato nominato incaricato regionale per il Turismo
– Don Giorgio LISCI, della Diocesi di Ales-Terralba, nuovo incaricato regionale per la Pastorale della Salute
– Don Giulio MADEDDU, dell’Arcidiocesi di Cagliari, consulente ecclesiastico della sezione sarda dell’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI).

 

Il segretario della CES

+ Sebastiano Sanguinetti

Il messaggio dei Vescovi sardi per la Settimana sociale dei cattolici (Cagliari 26-29 ottobre)

 

 In occasione della prossima Settimana sociale dei cattolici italiani, che si svolgerà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre, i vescovi sardi – riuniti in assemblea nei giorni 2 e 3 ottobre, hanno rivolto alle comunità dell’Isola il messaggio che pubblichiamo.

MESSAGGIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE SARDA

PER LA 48ma SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI ITALIANI

Siamo ormai prossimi alla celebrazione della “48ma Settimana Sociale dei cattolici italiani”, sul tema «Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale».

Essa si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre, e ciò sollecita noi cattolici della Sardegna a riflettere con ancor più attenzione sul significato del lavoro e sulle modalità con cui viviamo i grandi e complessi problemi ad esso collegati.

Noi Vescovi, per la responsabilità pastorale verso le nostre Chiese, vogliamo perciò richiamare tutti a non perdere questa occasione: anche noi possiamo contribuire ad “aprire processi” (EG 222-225) positivi utili a  superare i problemi spesso drammatici del mondo del lavoro e ad affrontare con speranza le prospettive future.

Non è la prima volta che invitiamo a questa fatica. A pochi mesi dal pellegrinaggio di Papa Francesco a Bonaria nel settembre 2013, vi abbiamo indirizzato la Lettera pastorale “Un cammino di speranza per la Sardegna” su alcuni urgenti problemi sociali e del lavoro, e da allora abbiamo continuato ad accompagnare premurosamente l’evoluzione delle tante situazioni di crisi che purtroppo periodicamente si ripresentano nelle diverse realtà industriale, agro-pastorale e in tutti gli ambiti lavorativi della nostra Regione.

Come cristiani non possiamo dimenticare che il lavoro è sempre al servizio dell’uomo e non il contrario, e che la dignità della persona umana, che passa anche dal lavoro, non è mai calpestabile. L’impegno della Settimana sociale è già iniziato in quest’anno di preparazione: anche nelle nostre diocesi si sono svolti sei incontri, con importanti contributi di persone competenti e appassionate. Esso dovrà continuare anche dopo il convegno di Cagliari.

Vogliamo aprire lo sguardo non tanto ai numeri e alle statistiche, ma alle persone, alle vite concrete, alle speranze oltre che alle delusioni, con attenzione alla dignità di ognuno e alla solidarietà, prendendo coscienza delle presenti criticità, a partire dalla allarmante situazione della disoccupazione giovanile, ma anche guardando con attenzione alle esperienze lavorative e alle buone pratiche esistenti e dando nuovo impulso a risorse come l’artigianato, l’agricoltura, il turismo, per contribuire a trovare nuove strade e proporre all’intera società italiana una direzione di marcia che porti a superare la crisi in cui essa versa da troppi anni.

Chiediamo a tutte le nostre Comunità cristiane, a tutte le persone di buona volontà e in particolare a chi ha doveri istituzionali, di aprirsi concretamente a questo impegno e di accompagnare con responsabilità, nella preghiera e nella riflessione, la Settimana Sociale dei cattolici italiani, perché anche la nostra Chiesa di Sardegna, collaborando responsabilmente al progetto originale di Dio Creatore (Gn. 2,6ss), concorra a realizzare il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale.

Affidando questo nostro cammino di ricerca e di rinnovamento all’intercessione di Nostra Signora di Bonaria e dei nostri Santi, chiediamo per ciascuno e per ogni famiglia la benedizione del Signore.

 

Cagliari, 4 ottobre 2017

Festa di S. Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia.

 

I Vescovi della Sardegna

Monsignor Miglio continuerà il suo servizio per altri due anni

A poco più di due mesi dal compimento dei 75 anni di età, la Nunziatura Apostolica ha comunicato a monsignor Arrigo Miglio che il Santo Padre Francesco ha prorogato per altri due anni il suo mandato come Arcivescovo di Cagliari.

Come previsto dal Codice di diritto canonico, l’Arcivescovo aveva puntualmente provveduto a consegnare le proprie dimissioni nello stesso pomeriggio del suo compleanno. Conseguentemente alla decisione pontificia, il pastore della diocesi di Cagliari e presidente della Conferenza episcopale sarda, potrà così continuare, con immutato impegno, il cammino intrapreso negli anni precedenti, certo della generosa e fattiva collaborazione di tutte le componenti della comunità diocesana.

 

Biografia del Presidente della Conferenza Episcopale Sarda : 

Nato a San Giorgio Canavese in provincia  di Torino, diocesi di Ivrea il 18 luglio 1942, ha frequentato il Seminario vescovile dal 1958 al 1964. Alunno poi dell’Almo Collegio Capranica a Roma dal 1964 al 1970. Licenziato in Teologia alla Pontificia università gregoriana e in Scienze bibliche presso il Pontificio istituto biblico, è stato ordinato sacerdote per il clero di Ivrea nella chiesa parrocchiale di San Giorgio Canavese,  il 23 settembre 1967 da monsignor Luigi Bettazzi.

Nella diocesi di Ivrea ha espletato gli incarichi di vice-parroco al Sacro Cuore, direttore della casa dell’Ospitalità, vicario episcopale per la Carità, parroco al Santissimo Salvatore, vicario episcopale per la pastorale, parroco di Quassolo, poi di Lugnacco, rettore del Seminario, vicario generale dal gennaio 1980 ad aprile 1992.

Per diversi anni è stato docente di Sacra Scrittura nella Federazione degli studentati teologici di Torino. Con tale competenza per 15 anni è stato relatore nella Settimana biblica della Sardegna a Santulussurgiu. È stato segretario della Conferenza episcopale piemontese e presidente del Comitato scientifico delle Settimane sociali dei cattolici italiani fino al 2016 e membro della Commissione episcopale della Cei per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. È stato assistente ecclesiastico generale dell’Associazione guide e scout cattolici italiani.

Eletto alla sede vescovile di Iglesias il 20 marzo 1992, ordinato vescovo nella cattedrale di Ivrea il 25 aprile 1992, ha preso possesso il 14 giugno 1992. Trasferito alla sede vescovile di Ivrea il 20 febbraio 1999, ha preso possesso il 25 aprile 1999. Promosso alla sede arcivescovile di Cagliari il 25 febbraio 2012, ha preso possesso il 18 aprile 2012, ha inaugurato solennemente il ministero episcopale il giorno della festa della Madonna di Bonaria. Ha ricevuto il pallio da papa Benedetto XVI il 29 giugno e il 3 settembre è eletto presidente della Conferenza episcopale sarda.

 

(Fonte: Il Portico)

Mons. Gianfranco Saba, nominato nuovo Arcivescovo di Sassari

Il Santo Padre Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi metropolitana di Sassari (Italia), presentata da S.E. Mons. Paolo Mario Virgilio Atzei, O.F.M. Conv.

Il Papa ha nominato Arcivescovo Metropolita di Sassari (Italia) il Rev.do Mons. Gian Franco Saba, del clero della diocesi di Tempio-Ampurias, Parroco (già Rettore del Pontificio Seminario Regionale Sardo).

Rev.do Mons. Gian Franco Saba

Il Rev.do Mons. Gian Franco Saba è nato il 20 settembre 1968 a Olbia, in provincia di Sassari, nella diocesi di Tempio-Ampurias. Concluso il percorso del Seminario Minore diocesano, ha proseguito la sua formazione al sacerdozio per un biennio presso il Seminario Regionale Umbro e l’Istituto Teologico di Assisi e poi presso il Pontificio Seminario Regionale Sardo di Cagliari, conseguendo il Baccalaureato in Teologia presso la Facoltà Teologica della Sardegna.

Ha proseguito gli studi per la specializzazione presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma, ove ha ottenuto la Licenza in Teologia e Scienze Patristiche, il Diploma in Scienze Patristiche per la ricerca e la docenza ed infine il Dottorato nella stessa disciplina. Ha frequentato, inoltre, l’ISTR dell’IC de Paris per la specializzazione in “Interculturalité Religions et Societé”. Si è iscritto anche al corso di “Sistemi di comunicazione nelle relazioni internazionali” presso la Facoltà di Lettere dell’Università per stranieri di Perugia.

È stato ordinato sacerdote il 23 ottobre 1993, incardinandosi nella diocesi di Tempio-Ampurias.

Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato Vicerettore e Rettore del Seminario Diocesano, Membro del Consiglio Presbiterale Diocesano e del Collegio dei Consultori. Dal 1998 al 2001 è stato anche Assistente Diocesano dei Giovani di Azione Cattolica e Delegato della Commissione Presbiterale Regionale, Membro della Commissione preparatoria del Sinodo Diocesano; Assistente Diocesano e Regionale del Movimento Ecclesiale d’Impegno Culturale.

Nel 2001 è divenuto Direttore dell’Istituto Diocesano di Scienze Religiose, sviluppandolo nel 2004 in Istituto Euromediterraneo-ISR e quindi in Istituto Superiore di Scienze Religiose riconosciuto dalla Santa Sede. Ha fondato e diretto il progetto editoriale dell’Istituto, la Collana di studi e ricerche di religione e società. Dal 2004 è Docente stabile associato di Teologia Patristica nella Facoltà Teologica della Sardegna.

Nel 2008 è stato nominato Amministratore parrocchiale della parrocchia di Nuchis. Dal 2010 al 2015 è stato Rettore del Pontificio Seminario Regionale Sardo di Cagliari. Dal 2015 è Parroco a Sant’Antonio di Gallura. Nel 2011 è stato nominato Cappellano di Sua Santità. Ha prodotto numerose pubblicazioni degne di nota e contributi scientifici apparsi su riviste specializzate.

ESERCIZI SPIRITUALI SACERDOTI dal 13 al 17 febbraio 2017

ESERCIZI SPIRITUALI aperti al CLERO della SARDEGNA.

Presso la casa Pozzo di Sichar (Via dei Ginepri, 32 – loc. Capitana)

Predicatore: Mons. Domenico Sigalini, Vescovo di Palestrina, assistente generale di azione cattolica e resp. Del COP Centro di Orientamento Pastorale, e primo direttore del servizio nazionale di  pastorale giovanile della CEI.

(Per chi desidera può contattare Il Vicario Generale di Cagliari, Mons. Franco Puddu al cell.: 3683198778 – Email: vicario@diocesidicagliari.it)

Esercizi spirituali con i presbiteri della diocesi di Cagliari (13sr-17mt febbraio 2017)
“Essere preti a tempo pieno tra la gente per la speranza viva che è Gesù”

Lunedì 13 febbraio 2017
Introduzione: Vita da preti (1)
Essere preti significa essere uomini che hanno voglia di vivere e di orientarsi a una visione del mondo che ha Dio come creatore, che impostano la vita da credenti e che si collocano nella comunità cristiana da pastori a nome di Gesù Cristo.
Domande, sensazioni, esigenze, fotografie della nostra vita di presbiteri

Martedì 14 febbraio 2017
Mattino Chi è Gesù e chi è il prete (2)
Essere cristiani con un centro che è Gesù è anche la dimensione determinante della vita di un prete. E’ una centralità da cercare per una vita di santità e da servire per la santità dei credenti.
Lettura sinottica della vita di Gesù e del prete
Pomeriggio Contemplatori di Gesù morto e risorto, speranza dell’uomo(3)
La risurrezione di Gesù è sempre per tutti la contemplazione quotidiana da fare, da vivere, da annunciare, da ripensare per ogni nostra situazione di vita.
Lectio sui vangeli della risurrezione
Dopocena
Scambio di riflessioni pastorali sulla conversione missionaria della nostra pastorale

Mercoledì 15 febbraio 2017
Mattino Dalle speranze spente alle speranze vive (4)
Il prete è portatore di speranza: la vive in sé e la dona, la cerca per sé e la cerca con gli altri; si converte dalle speranze spente alle speranze vive
Lectio su alcuni brani della I Petri
Pomeriggio La chiamata al servizio presbiterale, a mettersi al servizio della comunione ecclesiale (5)
La qualificazione che Dio ci chiede è di essere servitori della comunione e guide della vita credente. Il compito che ci chiama alla conversione e alla fiducia.
Dopocena
Scambio di riflessioni pastorali sul mondo giovanile

Giovedì 16 febbraio 2017
Mattino: La chiamata alla vita, alla fede e al ministero (6)
La vita articolata del prete nella ricerca di una forte identità umana, cristiana e presbiterale. Il celibato come ricchezza anche antropologica
Pomeriggio L’Eucaristia tormento e gioia, sogno e speranza, del presbitero per la costruzione del Regno (7)
L’Eucaristia è la nostra ragion d’essere. Tornare a riflettere sulla sua istituzione ci aiuta ad accostarla come una grande atto di misericordia di Dio per noi e un compito nostro con Lui nei confronti dell’umanità.
Dopocena
Scambio di riflessioni pastorali sulla Amoris laetitia

Venerdì 17 febbraio 2017
Mattino Maria stella della evangelizzazione e madre del presbitero (8)
Una rinnovata devozione a Maria, vista come figliolanza e corresponsabilità nel portare gli uomini a Cristo e come esempio di maternità-paternità spirituale.
Commento ragionato di alcuni brani di vangelo che ci presentano Maria, la madre di Gesù
Se non c’è spazio per questa meditazione e c’è solo la messa conclusiva, la riflessione su Maria la faremo durante i rosari

Brevi omelie ad ogni celebrazione eucaristica. L’ultima di venerdì presieduta dall’arcivescovo

Proposta di Orario della giornata

Ore 8 Preghiera di Lodi
Colazione
Ore 9 1a Meditazione

Ore 11 Esposizione del Santissimo e adorazione personale

Ore 12 .30 pranzo

Ore 15.30 2a Meditazione

Ore 18 Celebrazione Eucaristica e recita del vespro

Ore 19.30 cena

Ore 20.30 Rosario

Ore 21 Eventuale dialogo in gruppo

Il giovedì o mercoledì al posto della adorazione, una veglia penitenziale e confessioni.